Sulla collina di Hissarlik sorge la mitica Troia, la
città che la leggenda vuole fondata dall’eroe Dardano, figlio di Zeus, e
ricostruita dal nipote Troe, sede dei regni di Ilo, di Laomedonte e di Priamo.
Fu durante
il suo regno che gli achei, guidati da Agamennone, la cinsero in un
assedio durato nove anni per vendicare l’offesa recata da Paride con il ratto
della bella Elena e terminato con la sua distruzione grazie all’astuto
stratagemma del cavallo di legno escogitato dal prode Ulisse. In realtà sotto
lo strato della Troia immortalata da Omero si nascondevano ben altre otto
stratificazioni che ne testimoniano la nascita nel III millennio a. C.,
l’evolversi nel corso dei secoli fino alla decadenza e all’arrivo dei romani
nel 400 d.C.
Nel III millennio a.C. Troia è un insediamento
fortificato, campo sosta sulle strade dei mercanti di metalli preziosi
provenienti dall’Asia. Dalla collina della Troade si poteva controllare sia la
via marittima sullo stretto dei Dardanelli sia le piste via terra. La città,
mai popolosa, assume nel passare dei secoli l’aspetto di una roccaforte, che
viene chiamata anche il “Pergamon” di Ilio.
L’opera di architettura di maggiore rilevanza è il
“megaron”, una grande camera rettangolare con al centro il focolare, palazzo
dei sovrani e sala di consiglio, spesso ornato di pitture, con pavimenti in
pietra, dotato di grandi magazzini-forzieri per le provviste, le armi e i
tesori. Il “megaron” è di origine minoica e sarà il modello per i primi templi
arcaici.
Dopo un periodo di stasi, Troia diventa nel II
millennio a.C. un’importante cittadella che intrattiene rapporti commerciali
con tutto il mondo egeo ed asiatico.
Nel XV sec. a.C. la città viene dotata di mura
imponenti, alte fino a 8 mt e dallo spessore di 5 mt. Si suppone che a
quell’epoca si sia svolta la “guerra di Troia”. In quel periodo un violento
terremoto scuote le fondamenta della città, che stenta a riprendersi.
Tra il X ed il V sec. a.C. Troia subisce l’invasione
di popolazioni balcaniche e dei greci Eolici (nel VII sec. a.C.). In seguito
viene conquistata dai Persiani di Serse (480 a.C.).
Sarà Alessandro Magno a liberare la città nel IV
sec. a.C., quando varca i Dardanelli per iniziare la sua trionfale marcia di
conquista sui regni di Oriente.
Decaduta come cittadella strategica, in epoca
ellenistica e romana, Troia si trasforma in una specie di luogo di
pellegrinaggio: i Greci vi si recano per rendere omaggio agli antichi eroi
achei e argivi - Achille e Aiace - mentre i Romani - Giulio Cesare, Augusto,
Adriano - vi onorano il leggendario progenitore della stirpe romana, Enea,
genero di Priamo.
Nel periodo bizantino, Troia diventa per breve tempo
sede episcopale, ma poi, inesorabilmente, sull’antica Ilio cala il silenzio.
Lucano (I sec. d.C.) narra in “Pharsalia” della visita
di Giulio Cesare al sito che si credeva Troia:
“Cesare fa il giro degli avanzi famosi dell’arsa
Troia e cerca le grandi vestigia delle mura di Febo. Ora sterili arbusti e
tronchi di quercia imputriditi sono cresciuti sulle case di Assaraco e occupano
i templi con radici già allentate; di sterpi sono ricoperte le rocche di
Pergamo.” Alla vista delle rovine Cesare “fece improvvisare un’ara di zolle e
sui fuochi dell’incenso sparso preghiere destinate a essere esaudite: (...)
grati gli Ausonidi restituiranno a loro volta le mura ai Frigi e risorgerà una
Pergamo romana.”
Plutarco (I - II sec. d.C.) in “Alessandro” descrive
la visita di Alessandro Magno a Troia, prima della conquista dell’Asia:
“Salito ad Ilio fece un sacrificio ad Atena e
libagioni agli eroi, poi cosparsosi d’olio con i compagni, nudo, girò attorno
di corsa come si usa, alla stele di Achille.”
Anche Arriano
(I - II sec. d.C.) nell’“Anabasi di Alessandro” ricorda il sacrificio
del macedone a Troia prima di proseguire nelle sue guerre di conquista:
“Giunto a metà del passaggio dell’Ellesponto, immolò
un toro a Poseidone e alle Nereidi, versando libagioni da una tazza d’oro nel
mare. (...) Recatosi, poi, a Ilio, fece sacrifici ad Atena Iliaca e, dedicate
nel tempio le sue armi, ne prese altre consacrate e rimaste ancora dai tempi
dell’impresa di Troia. (...) Vi è chi dice che Alessandro coronasse anche la
tomba di Achille.”
“Ed Ettore prese a scappare sotto le mura dei
Troiani (...) andavano, essi, correndo oltre la vedetta e il caprifico battuto
dai venti, sempre sotto il muro, lungo la carraia (...) così quei due correvano
intorno alla città di Priamo con rapidi piedi, per ben tre volte (...) e Ettore
ogni volta che cercava di lanciarsi verso la porta Dardania, al riparo delle
forti torri, nella speranza che dall’alto lo difendessero i dardi, sempre
Achille gli giungeva prima davanti a respingerlo via verso la pianura. Ma
l’altro mirava continuamente a volare dalla parte della città”
Libro XII
L’armatura degli eroi si componeva normalmente di
gambali con fibbie d’argento, corazza, spada di bronzo con borchie d’argento,
scudo, elmo con criniera di cavallo e lancia.
Il mitico scudo di Achille, forgiato da Efesto, è
diviso in diversi pannelli dove sono raffigurate, secondo la descrizione di Omero,
la terra, il mare e il cielo; la città assediata e la città in pace; l’aratura,
la raccolta e la vendemmia; la mandria assalita da due leoni; il gregge al
pascolo e la danza; e l’oceano.
Alla base dei 17mila versi dell’Iliade, al pari dei
13mila versi dell’Odissea, vi sono secoli di epica orale. Per i Greci entrambe
le opere sono frutto di un solo poeta, il cantore cieco Omero, che descrive un
mondo che non esiste: l’azione infatti non si svolge né in epoca micenea, che
il poeta non poteva conoscere, né in epoca omerica (l’età protoarcaica).
I suoi eroi sono guerrieri di nobili origini, ma ben
lontani dall’essere virtuosi: sono irascibili, permalosi, astuti e violenti.
Due erano le regole da rispettare: lo scambio dei doni e l’ospitalità. La
trasgressione di questi obblighi poteva scatenare una guerra come quella che il
poeta narra appunto nell’Iliade.
Omero (VIII-VII sec. a.C.), poeta epico greco.
Le notizie sulla sua vita sono per lo più
contraddittorie e fantastiche, anche se non si può escludere che contengano
della verità. Gli antichi ce lo hanno tramandato come un vecchio cieco, autore
della rielaborazione dei canti epici, nativo di Smirne, anche se numerose altre
città si sono contese i suoi natali. I greci lo considerarono un maestro, il
“poeta” e anche la cultura romana ne condivise l’ammirazione come educatore e
poeta.
A lui è attribuita la composizione dell’Iliade e
dell’Odissea.
La bellissima Elena, figlia del re di Sparta Tindaro
- secondo il mito sarebbe invece nata con i fratelli Castore e Polluce
dall’uovo di Leda, ingravidata da Zeus trasformatosi in cigno - sposa Menelao,
fratello di Agamennone, potente re di Micene. Paride, principe di Troia, figlio
di Priamo, invitato alla corte di Micene si innamora di Elena e commette un
atto di imperdonabile offesa all’ospitalità: rapisce Elena e, insieme a lei, i
gioielli di casa e il tesoro del tempio di Apollo.
I principi greci si alleano per muovere contro i
traditori troiani. Tra i condottieri greci, guidati da Agamennone, troviamo
Achille dell’Ellade, Aiace della Locride, Ulisse di Itaca, Nestore di Pilo e
Menelao di Sparta; sul campo avversario sono schierati Ettore, Enea, Archiloco
e Ascanio.
L’assedio si protrae per 10 anni, seminando morti
sul campo di battaglia: tra questi Ettore, ucciso in duello da Achille, il cui
corpo martoriato viene trascinato nella polvere intorno alle mura di Troia, e
lo stesso Achille, vinto dal vile e debole Paride.
Alla battaglia partecipano, in maniera speculare,
gli dei dell’Olimpo: Ares, Apollo, Afrodite e Artemide dalla parte dei Troiani;
Atena, Era, Poseidone ed Efesto dalla parte dei Greci.
La fine di Troia, l’inganno del cavallo di legno
inventato da Ulisse per penetrare nella città, il massacro della popolazione e
l’incendio che riduce la città in cenere sono invece narrati nell’Odissea,
durante una recita nel palazzo di Nausicaa, principessa dei Feaci.
L’assedio decennale raccontato da Omero si svolge -
se guerra c’è stata - in età micenea nel II millennio a.C., all’epoca della
costruzione dei grandi palazzi e delle tombe reali della “Micene tutta d’oro”.
Tra la fine della civiltà micenea, intorno al XII sec. a.C., e l’epica di Omero
del IX sec. a.C., c’è un’età oscura per la Grecia, di cui ci mancano fonti
scritte sui movimenti migratori, sui conflitti territoriali e
sull’organizzazione politica.
Nel 1200 a.C., all’apogeo della civiltà micenea, la
Grecia è dominata da re-pastori, che intrattengono scambi commerciali con i
popoli al di là dell’Egeo e vivono in grandi “megaron” all’interno di
cittadelle protette da mura ciclopiche. Il potere di per sé non contava nulla
se non era accompagnato da azioni belliche di conquista.
Secondo Omero i principi alleati nella guerra contro
Troia avevano raccolto un esercito di circa 100.000 uomini e una flotta
gigantesca (il solo Agamennone comandava 100 navi), ma nessuna iscrizione sulle
migliaia di tavolette rinvenute dagli archeologi concorda su una spedizione
congiunta contro una cittadina dell’Asia Minore.
Alcuni studiosi suppongono che si siano svolte
numerose guerre, ma brevi, più simili in realtà ad atti di pirateria.
Sono state le antiche leggende, tramandate oralmente
di generazione in generazione, a trasformare le gesta degli antichi eroi
nell’epica impareggiabile dell’Iliade.
FONTI
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